Prima della riforma: disciplina del D.Lgs. 3-2-1993, n. 29
Prima della riforma del 1993, per i dipendenti degli enti pubblici erano previste due differenti discipline. La prima prevedeva che i dipendenti degli enti pubblici economici fossero soggetti a un rapporto di lavoro di diritto privato, mentre la seconda che i dipendenti degli altri enti pubblici fossero soggetti a un rapporto pubblicistico. Il D.Lgs. 3-2-1993, n. 29 (ora trasfuso nel D.Lgs. 165/2001) ha radicalmente riformato il pubblico impiego.
Rinnovamento e modifica della disciplina
Difatti, ha trasferito la relativa disciplina dall’area pubblicistica (dove era prima collocato) a quella privatistica. I rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalla legge sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto medesimo. Di conseguenza, con la riforma del 1993 i rapporti di lavoro dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni sono regolati innanzitutto dalle disposizioni del codice civile. Ciò nonostante, alcune categorie di dipendenti dell’Amministrazione Statale (magistrati, polizia, ecc.) rimangono regolate dai principi sul rapporto di pubblico impiego.
Nuova disciplina del Pubblico impiego
Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. è oggi «privatizzato». In particolare, l’assetto dei rapporti di pubblico impiego è incentrato sul valore dell’autonomia contrattuale (individuale e collettiva). Tuttavia, si tratta di un modello misto. Difatti, alle norme di diritto comune si affiancano speciali disposizioni di legge, regolamento o statuto che introducono discipline limitate ai soli dipendenti delle amministrazioni pubbliche.
Aspetti peculiari
Orbene, vi sono alcuni aspetti peculiari che connotano il rapporto di lavoro svolto alle dipendenze di una P.A.:
- la predeterminazione del personale. In ragione di ciò, le PP.AA. non possono disporre liberamente del proprio personale che viene predeterminato dalla legge e/o atti amministrativi a contenuto generale;
- il principio del concorso pubblico come modalità di accesso al lavoro con le PP.AA.;
- il criterio della stabilità del rapporto nell’ambito dell’organico. Difatti, i pubblici impiegati sono impiegati in precise posizioni e qualifiche, cui corrispondono le relative mansioni. Essi potranno accedere ad altra posizione ma solo previo svolgimento di un’apposita procedura concorsuale.
Differenze ancora attuali
Pertanto, sussistono ancora differenze sostanziali. Per tale motivo è da ritenere ammissibile una disciplina differenziata del rapporto di lavoro pubblico rispetto a quello privato. Infatti, la pubblica amministrazione conserva sempre, anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato, una connotazione peculiare poiché, da un lato, l’attività amministrativa è sempre diretta al perseguimento dell’interesse della collettività e, dall’altro lato, le PP.AA. sono tenute al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento (cfr. in tal senso Corte cost., 16-5-2008, n. 146).
Distinzione fra i due settori a livello giurisdizionale
Alla luce delle superiori argomentazioni, si è delineata una netta distinzione fra i due settori del personale. Di conseguenza, cambiano anche le giurisdizioni in caso di eventuali controversie. Infatti, per il personale con rapporto contrattuale la tutela giurisdizionale è di competenza del giudice ordinario – sezione lavoro – mentre per il personale con rapporto di pubblico impiego, le vertenze spettano sempre al giudice amministrativo, in sede di giurisdizione esclusiva.
Tuttavia, la giurisdizione ordinaria non si estende a tutte le vertenze inerenti al personale con rapporto contrattuale. Difatti, la giurisdizione amministrativa è stata conservata per le vertenze concernenti le procedure di concorso per l’assunzione di personale.
Tutela giurisdizionale
La tutela giurisdizionale per il personale con rapporto contrattuale presenta vari profili peculiari. La competenza territoriale, per le vertenze di lavoro, spetta al tribunale civile nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale è addetto il dipendente. Pertanto, non si applica la disciplina del foro erariale.
Dal punto di vista della tutela processuale, è riconosciuta espressamente al giudice la capacità di adottare qualsiasi ordine di pronuncia, di accertamento, costitutiva o di condanna, richiesta dalla natura dei diritti tutelati. In particolare, viene affermato che la circostanza che nel giudizio vengano in questione atti amministrativi presupposti non incide sulla giurisdizione del giudice ordinario. Di conseguenza, il giudice procede, se li riconosce illegittimi, alla loro disapplicazione. Per quanto riguarda gli atti di organizzazione essi sono configurati dalla legge come espressione di uno specifico potere amministrativo e perciò sottratti alla cognizione del giudice.
Per contro, qualora tali atti abbiano un’incidenza, seppur solo indiretta, sul rapporto di lavoro e siano rilevanti per valutare il comportamento delle parti nel rapporto stesso, il giudice ordinario può procedere alla loro disapplicazione. Nello stesso tempo, non è escluso che il dipendente dell’Amministrazione sia direttamente leso, in un suo interesse legittimo, dall’atto di organizzazione. In questo caso l’atto di organizzazione può essere impugnato dal dipendente davanti al giudice amministrativo.
Conclusioni
La Riforma del 1993 ha portato delle modifiche radicali, oggi integrate nella legge c.d. Madia 7 agosto 2015, n. 124, lasciando, però, intatte quelle differenze tra le due tipologie di lavoratori subordinati a seconda del loro rapporto contrattuale e, infine, un diverso livello di confronto con la giurisdizione ordinaria.